Sessantacinque sogni di Franz Kafka e altri scritti by Félix Guattari

Sessantacinque sogni di Franz Kafka e altri scritti by Félix Guattari

autore:Félix Guattari [Guattari, Félix]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Orthotes
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


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1 Diario del 21 settembre 1917, d 570.

Kafka’s Band*

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* Testo dell’inizio del 1984, scritto per un giornale e pubblicato in occasione dell’esposizione Le siècle de Kafka al Centre Georges Pompidou.

Lo riconoscerete di sicuro. È uno molto magro, curvo, con gli occhi cerchiati da uccello notturno. Troppa luce! (Tutto il contrario di Goethe). Troppo rumore! Soprattutto non voleva farsi notare, fare tante storie – oppure soltanto per il piacere della scrittura. Ed ecco che ora si parla solo di lui. Si direbbe che sta dappertutto nella folla, dappertutto nell’epoca. In meno di un secolo avrà scatenato il più grande record di interpretazioni e malintesi e si sarà attirato la più lunga sfilza di “processi” che si possa immaginare.

Il primo, in ordine d’importanza, di questi processi ebbe luogo nel luglio 1914, in un grande albergo di Berlino, l’Askanischer Hof. È da questo evento che avrebbe estratto la matrice analitico-letteraria del suo romanzo Il processo. Quel giorno era stata convocata una riunione – di famiglia – dalla sua fidanzata Felice Bauer, per discutere davanti a testimoni del suo atteggiamento dilatorio nei confronti della scadenza matrimoniale. Lei lo accusa duramente, ma lui non risponde, non si difende. Conserverà per il resto della vita le stigmate dell’umiliazione pubblica inflittagli da questo “tribunale dell’hotel”, nel quale stranamente il ruolo del giudice l’aveva tenuto un’altra ragazza, Grete Bloch, la migliore amica di Felice, con la quale lui intratteneva segretamente una corrispondenza amorosa parallela.

Ricorderemo poi la Lettera al padre, vera e propria requisitoria dagli accenti talvolta paranoici, nella quale attraverso la propria famiglia fa il processo a tutte le forme di tirannia coniugale e domestica: cosa che non gli impediva d’altronde di esserne affascinato ed eventualmente di praticarle.

Più difficile da ricostruire, perché più antico e più arcaico, è il processo che continuò a istruire contro se stesso («La coscienza che ho della mia colpa è sempre abbastanza profonda, non ha bisogno di essere alimentata dal di fuori»)1 e che mutò la sua esigenza di perfezione letteraria in una costante minaccia contro la sua opera che risulta perciò disseminata di interruzioni e autodafé.

Ci sono stati poi gli innumerevoli mandati di comparizione per la sua opera, essenzialmente postuma, davanti alle diverse “giurie” filosofiche, religiose e politiche che si erano formate per giudicarla, situarla, inquadrarla, neutralizzarla, via via che il suo successo andava estendendosi su tutto il pianeta – fenomeno probabilmente unico, quanto a intensità e persistenza, nella storia della letteratura moderna. A questo proposito, ci si può interrogare sull’opportunità di utilizzare il termine “opera” nella sua accezione ordinaria per trattare un tale fenomeno. Come determinarne, infatti, il contorno e la definizione, quando le infinite domande e i misteri che il suo autore ci ha lasciato in eredità – sicuramente suo malgrado – sono stati connotati, in quasi tutte le lingue, con l’aggettivo qualificativo “kafkiano” e un certo “effetto Kafka”, come mi è parso giusto chiamarlo, ha esteso i suoi punti di impatto e reclutato i suoi ministri negli ambiti più diversi? Dobbiamo oggi cercare di spiegare



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